martedì 15 luglio 2025

Questo articolo ci è stato segnalato da Lorenzo Tommaselli.

Aveva 35 anni

María Cristina Inogés Sanz

L’età è l’elemento meno importante, ma è significativa. Il suo nome era Matteo Balzano ed era vicario parrocchiale di Cannobio, un comune della diocesi di Novara. Un prete fino ad ora anonimo, che purtroppo è finito sotto i riflettori dei media per essersi suicidato. Un evento terribile. È impensabile cosa quest’uomo abbia dovuto sopportare per arrivare a prendere e mettere in atto questa decisione.

In questo caso la diocesi, con il vescovo in testa, ha deciso di non nascondere la terribile realtà che ha lasciato la parrocchia sotto shock. Non si può neanche immaginare come stia la famiglia. È stata una buona decisione da parte del vescovo, che, in ultima analisi, è colui che ha preso la decisione finale? Direi più che buona, è ottima per diversi motivi, anche se può sembrare strano.

Il suicidio non è una novità per il clero. La vita è così difficile sotto molti aspetti che non c’è via d’uscita, e il clero è composto da persone soggette alle stesse realtà di chiunque.

L’atteggiamento più naturale è quello di cercare scuse che finiscono per essere patetiche e molto dannose per affrontare questa realtà, soprattutto quando alla fine si finisce per sapere la verità avvolta nei «sottovoce» della mormorazione e nelle aggiunte di coloro che, con la premessa del «te lo dico in confidenza, non fare commenti», finiscono per creare – inventando – una storia ancora più terrificante di quanto non lo sia in realtà. La dichiarazione della diocesi ha messo fine alle voci prima ancora che iniziassero.

Perché negarlo?

Negare che un prete si sia suicidato e ricorrere al solito infarto, continua ad inviare un messaggio pericoloso ma potente per altri preti che stanno attraversando un momento difficile. Perché finiscono per interpretare la situazione come se a nessuno importi della loro situazione, anche dopo la morte, e che la cosa importante continui ad essere il buon nome dell’istituzione. Un suicidio non è solo la terribile fine di una persona; è responsabilità di tutti, e nella Chiesa ci manca ancora la sensibilità necessaria per considerare che un prete possa aver bisogno di un aiuto altamente specializzato in un dato momento.

Avrebbe potuto dare segnali che qualcosa non andava in lui, o, al contrario, ha resistito perché nessuno gli aveva insegnato a chiedere aiuto? Nessuno ha percepito il suo dolore, la sua solitudine, la sua paura, o gli è stato detto che un prete non può mostrare fragilità? Ecco perché è così importante non nascondere il suicidio di un prete, perché può accadere, e in effetti purtroppo accade. Dovrebbe farci riflettere tutti.

Chi decide di diventare prete non può essere preparato a sopportare, a dedicarsi alla Chiesa, fino al punto di provare sofferenza e di vivere in una solitudine insopportabile. Conformarsi «in persona Christi» non significa questo. La salute mentale ed emotiva del clero dovrebbe essere una preoccupazione primaria. Sebbene la formazione ricevuta nei seminari debba essere urgentemente e completamente rivista, non è sempre l’unica questione.

È la struttura stessa di un modello ministeriale che non serve né alla società né alla Chiesa del XXI secolo. Finché non crederemo questo sul serio, sarà inutile raccomandare che, quando la vita sembra oscurarsi (e succede davvero), bisogna affidarsi alla preghiera. La preghiera è qualcosa di più bello e profondo per poterla trasformare in una risorsa di uno sciamano tribale.

Il Vangelo avverte già che un cieco non può essere guida per un altro cieco. Pertanto, quando un prete ha bisogno di aiuto, un altro prete non è sempre la soluzione migliore. Non è bene che un prete che osa chiedere aiuto venga indirizzato a un terapeuta particolare «perché gode della fiducia della diocesi». In alcune diocesi questo accade. La scelta deve essere libera perché bisognerà immergersi nel profondo della persona e quest’immersione deve essere accompagnata dalla persona che si è deciso liberamente si scegliere.

Sapere che un prete si è suicidato, con tutto il dolore che genera, proprio come il suicidio di qualsiasi persona, dovrebbe farci riflettere e non cercare nel clero la versione quotidiana e accessibile di Superman. La tonaca o il clergyman non possiedono né conferiscono poteri sovrumani. E neanche l’imposizione delle mani durante l’ordinazione trasforma un uomo in un eroe, né la tanto pericolosa «paternità spirituale» lo fa stare al di sopra ed al sicuro degli alti e bassi umani. Il solo comprendere che, prima di tutto, sono uomini, sarà già un grande passo avanti.

Oggi il suicidio di un prete dovrebbe essere per noi uno scossone tremendo, che ci faccia riflettere su quanto ci sia ancora da fare nella Chiesa. Riposa in pace, Matteo.
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Articolo pubblicato il 7 luglio 2025 nel sito «Vida nueva digital» ( www.vidanuevadigital.com).
Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

Orgoglio, bella vita e aborto:

gli Orbán d'Italia minano i diritti civili

 

Stefano Iannacone (Roma)

 

La destra di Meloni è rimasta in silenzio davanti all'onda arcobaleno.

Il modello ungherese fa breccia e sulla fine vita non arrivano aperture. La cannabis light già colpita.

 

da “Domani” del 30 giugno 2025

Discriminazioni, aggressioni e diritti calpestati:

in 60 Paesi l’omosessualità viene vietata

ESSERE GAY È ILLEGALE IN AFRICA E ASIA. IN IRAN E YEMEN È PREVISTA LA PENA DI MORTE

 

Criminalizzazione, discriminazioni, aggressioni: i diritti delle persone Lgbtqia+ sono ancora calpestati in molti Paesi del mondo.

Stando agli ultimi dati dell’ilga World, una Ong di tutela dei diritti della comunità Lgbtqia+, aggiornati al 31 maggio, sono ancora una sessantina i Paesi dove l’omosessualità viene vietata, repressa e punita, soprattutto in Africa, tra cui Etiopia, Nigeria, Egitto,

Algeria, Senegal, Marocco, e in Asia, tra cui Bangladesh,

Indonesia, Pakistan. In America Latina lo resta ancora in

Giamaica. E in una dozzina di Paesi, tra cui l’Iran e Yemen,

gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso sono puniti

con la pena di morte. Anche se globalmente l’omosessualità è sempre più accettata nel mondo (i Paesi a vietarla erano 113 nel 1990), Amnesty International, in un rapporto del maggio 2025, ha registrato “un’evoluzione preoccupante” negli ultimi anni in materia dei diritti.

In alcuni Paesi, invece di fare progressi, si torna indietro.

Leggi repressive e politiche sempre più discriminanti nutrono inoltre paure e violenze. In Uganda la legge anti-lgbtqia+ è stata inasprita nel 2023, con l’introduzione della pena di morte per “omosessualità aggravata”.

IN GHANA, una legge anti-gay adottata, tra le proteste, nel dicembre 2024, punisce con il carcere fino a tre anni chi intrattiene “rapporti deviati”, e fino a cinque chi promuove o sostiene i diritti della comunità Lgbtqia+. Il Burkina Faso e il Mali, entrambi nella stretta autoritaria di una giunta militare, hanno reso illegale l’omosessualità rispettivamente a luglio e a dicembre 2024. In Mali

chi ha un rapporto omosessuale può essere condannato fino a sette anni di prigione e 500mila franchi Fca di multa. Lo scorso anno, in Iraq, il Parlamento ha inasprito le condanne, fino a 15 anni di reclusione, per gay e trans. Anche in Europa si fanno passi indietro.

Nell’agosto 2024, la Bulgaria ha adottato una legge che vieta la “propaganda” Lgbtq+ nelle scuole sulla falsariga della legge anti-lgbtqia+ in vigore nell’Ungheria di Viktor Orbán dal 2021 che limita l’esposizione dei bambini a materiale che “promuove” l’omosessualità”, il cambiamento di sesso e la rappresentazione Lgbtq+ nei media o nello spazio pubblico. Il Pride è bandito anche

in Turchia, mentre la Russia vieta la bandiera arcobaleno. Secondo Amnesty, “l’arrivo di Donald Trump ha segnato una svolta, dando risonanza mondiale a discorsi omofobi e legittimando politiche repressive”. Le aggressioni omofobe esplodono: la Ong cita del governo Usa che ha registrato almeno 2900 crimini contro le persone della comunità Lgbtq+ nel 2023.

Amnesty rileva comunque qualche raro progresso. Il caso più eclatante è quello della Thailandia, primo Paese del sud-est asiatico a legalizzare, lo scorso settembre, le nozze gay. Il numero dei Paesi dell’Ue dove il matrimonio gay è autorizzato è salito a 16 nel 2024, dopo il voto di

Estonia e Grecia. Sono solo 18 nel mondo le Costituzioni che vietano le discriminazioni delle persone Lgbtq+. In Italia l’omofobia è reato dal 2020.

 

Luana De Micco (da “Il Fatto quotidiano” del 29/6/25)

IL CASO:

”IL MIO AMICO DON BIANCIOTTO“

 

Intervista a don Cesare Canavosio, il missionario che gli prestò 10 mila euro

“Era il 2018, non ricordo il mese esatto. Don Paolo mi chiede 10mila euro in prestito. Glieli diedi: con lui aveva un debito morale. Anni prima mi aveva aiutato a sostenere gli studi di un giovane congolese che poi diventò medico. Lui mi aiutò, io aiutai lui”.

Don Cesare Canavosio conosce bene don Bianciotto. Hanno solo un anno di differenza: classe '42 il primo, '43 il secondo. Si fin conoscono da ragazzi. “Eravamo compagni di liceo e d'estate ci scrivevamo lettere in alfabeto greco”, sorride, evocando ricordi lontani.

“Siamo stati in Seminario insieme, a Pinerolo, poi mons. Quadri ci ordinò sacerdoti. Era il 29 giugno 1968. Eravamo in tre”.

Pochi anni dopo le loro strade si dividono: nel 1974 don Cesare parte missionario per il Congo, dove resterà 24 anni. “Avrei continuato, ma i miei genitori erano anziani e non me la sono sentita di lasciarli soli”. Ma la vita missionaria resta la sua vera passione. Lo si legge nei suoi occhi azzurri e nella commozione con cui parla di quel quarto di secolo nel cuore dell'Africa nera. Sedici anni come parroco. Ma questa è un'altra storia, che richiederebbe giornate intere per essere raccontata. Lui si soffermerebbe volentieri su quei ricordi, ma lo riportiamo (un po' a malincuore) al motivo del nostro incontro, sotto la pergola della sua cascina di Buriasco, dopo la messa alla Cappella di Rivasecca: il prestito a don Bianciotto.

 

IL PRESTITO "INTERCETTATO"

Quel prestito nel 2020 finì nelle intercettazioni della Guardia di Finanza di Pinerolo e poi nelle carte dell'inchiesta della Procura di Torino (pm Francesco Pelosi) che oggi ha portato in Tribunale lo storico parroco della Madonna di Fatima, don Paolo Bianciotto.

Un "Giano bifronte": con una mano dà, con l'altra prende. Molto criticato, ma anche molto amato.

Ancora oggi, a oltre due anni e mezzo dalla deflagrazione dell'indagine sui media di mezza Italia, gode di apprezzamento, fiducia e sostegno (anche economico) di molti.

Altri invece, seppur protetti dall'anonimato, lo definiscono “un malato, uno che ha solo i soldi in testa” e che, nonostante il processo in corso, continua a chiedere (e puro ottenere) prestiti. Forse, si mormora, per alimentare la passione per il gioco. Ma sono solo voci.

Quel che è certo è che don Paolo era solito distribuire “gratta e vinci” durante le gite parrocchiali. Un'abitudine innocente, forse, ma non proprio consona per un sacerdote. Più concreti sono i "regali" alla fidanzata perpetua Marinella, chiamata a testimoniare il 30 settembre 2024.

Non ha saputo dire (sic!) chi coprisse le rate del mutuo del suo alloggio, né da dove arrivassero i 700 - 800mila euro usati per iniziare attività per sé e la sua famiglia, o per acquistare una bella auto al figlio disoccupato.

 

DON CESARE: “NON SONO STATO TURLUPINATO”

In questa vicenda opaca e ancora tutta da chiarire, una cosa è certa: don Canavosio non si sente vittima. “Non ho rimpianti. Lui ha fatto del bene, anch'io. Non sono stato turlupinato. Grazie a lui un giovane della missione ha studiato Medicina”. Così, quando don Paolo gli chiese 10 mila euro, non esitò: “Avevo un debito morale”, ripete. “Mi disse che doveva aiutare un giovane tossicodipendente a evitare il carcere”. Una buona causa, dunque. E lei gli credette? “Perché non avrei dovuto”.

Lo ha detto in aula, mercoledì 18, rispondendo al giudice Riccardo Ricciardi della Quarta sezione penale. Lo ha ripetuto a noi sabato scorso.

Poco importa se, sentito dalla Finanza durante l'indagine, aveva detto che quei soldi “li considerava persi”. In parte fu così.

Don Paolo non si fece più sentire per due anni, e non sembrava intenzionato ad onorare il debito. “Poi lo chiamai, ne avevo bisogno, e mi restituì prima 1.000 euro, poi 500”. Seguì un lento stillicidio di piccole somme: 120, 250, 100. In totale, 8.800 euro.

Per il resto gli dissi: Lasciamo stare, chiudiamola qui”. Era passato troppo tempo.

Un rimpianto però ce l'ha: “Il capitale l'ho perso. Quei soldi mi sarebbero serviti per fondare una parrocchia nella terra dei Pigmei. Ma non li ho più avuti a disposizione”.

 

LA RICCA SIGNORA E I 150MILA EURO

Non si sente vittima, don Cesare. E come lui, altri che hanno prestato soldi a don Bianciotto. Come una signora pinerolese, molto benestante e assai altolocata, che gli diede 150 mila euro come prestito infruttifero per le “necessità” della parrocchia.

Mai restituiti. “Non è un problema: quando potrà lo farà”. Anche lei è stata ascoltata nell'aula la settimana scorsa, fragile o circonvenibile.

I suoi prestiti, come quello di don Cesare, come i "regali" a Marinella e il denaro che don Bianciotto avrebbe prelevato dai conti di Madonna di Fatima (l'indagine ha rilevato ammanchi per 303 mila euro), da quelli della Nuova scuola mauriziana di Torre Pellice (132.500 euro) e di altre parrocchiane facoltose, non sono oggetto del processo penale. La Procura avrebbe voluto fosse giudicato anche per "appropriazione indebita", ma sarebbe servita la querela del vescovo Derio Olivero (mai presentata).

Così, oggi don Paolo è accusato "solo" di circonvenzione di incapacità, ai danni di tre (presunte) vittime, una sola delle quali si è costituita parte civile. «Di questo, e null'altro, è chiamato a rispondere», hanno sempre ribadito i suoi avvocati, Simone Chiappori e Wladimiro Lanzetti. Il giudice aveva però disposto che anche altri testimoni – estranei all'ipotesi di circonvenzione -

venissero sentiti per definire meglio la personalità di questo singolo uomo di Chiesa.

Prossima udienza: 13 ottobre. È atteso anche il vescovo.

 

Lucia Sorbino (da “L'Eco del Chisone” del 25 giugno 2025)

lunedì 14 luglio 2025

 

L'Orban furioso

 

Dopo lo schiaffo del Pride, il premier ungherese attacca l'UE su economia diritti e guerra: così ora può intralciare

i dossier di Bruxelles, a cominciare dal veto sul sostegno a Kiev

 

Marco Bresolin, corrispondente da Bruxelles

(“La Stampa” del 30/6/25)

Le ambizioni del governatore

 

• La decisione di Trump di schierare la guardia nazionale a Los Angeles è l'ennesimo al tacco contro la California, lo stato più progressista del paese. Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Trump ha firmato un ordine esecutivo pensato per indebolire le norme approvate negli ultimi anni dalla California per proteggere l'ambiente e ridurre l’inquinamento, ha contestato una legge statale che tutela gli studenti transgender, ha annunciato tagli ai fondi federali per la sanità e ha aperto inchieste contro le pratiche di ammissione nelle università.

"Al momento nei tribunali ci sono quattro cause pendenti chiamate 'stato della California contro Trump' e altre sedici intentate dallo stato contro il presidente", scrive il sito Cal Matters.

• Questa dinamica è stata messa in rotta di collisione tra Trump e il governatore Gavin Newsom che già da tempo è indicato come uno dei potenziali candidati al Partito democratico alle prossime presidenziali. "Newsom sta approfittando dello scontro con Trump per presentarsi come leader dell'opposizione ", scrive Moly Bal sul Wall Street Journal. La sua risposta decisiva agli attacchi di Trump ha dato fiducia a molti politici ed elettori democratici delusi dal fatto che finora il partito non ha fatto niente per opporsi alla deriva autoritaria della Casa Bianca. "Negli ultimi mi mesi Newsom si è spostato su posizioni più moderate per aumentare il suo potenziale consenso nel paese, ma lo scontro con Trump potrebbe consolidare il suo profilo di progressista radicale".

Il 9 giugno, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, Trump ha detto che "a Gavin piace la pubblicità, ma penso che sarebbe una cosa fantastica" se fosse arrestato.

 

da “Internazionale” del 17/06/2025

Rivolta e repressione

 

• Il 6 giugno 2025, dopo che gli agenti dell'immigrazione hanno arrestato decine di presunti immigrati irregolari, a Los Angeles, in California, così non sono scoppiate le proteste della popolazione locale. Anche se le manifestazioni sono state in larga parte pacifiche e la polizia di Los Angeles diceva di avere la situazione sotto controllo, il 7 giugno il presidente Donald Trump ha ordinato l'invio di duemila soldati della guardia nazionale, il principale corpo di riservisti dell’esercito statunitense.

• Il 9 giugno Trump ha alzato ancora il livello dello scontro: ha richiamato altri duemila riservisti e settecento marines (il corpo di fanteria della marina) e ha fatto capire di voler invocare l'Insurrection act, una legge del 1807 che dà al presidente la possibilità di ricorrere all'esercito sul territorio nazionale in circostanze straordinarie.

• Dopo cinque giorni di protesta, la sindaca di Los Angeles Karen Bass ha imposto il coprifuoco. Nella notte tra il 10 e l'11 giugno la polizia ha arrestato almeno cinquanta persone accusate di aver violato l'ordinanza. Intanto le proteste si sono estese ad altre città, tra cui New York, Boston, Atlanta, Chicago, Austin, Dalle, San Francisco e Filadelfia.

• Fin dall'inizio della presidenza, Trump ha adottato una serie di misure per ridurre drasticamente l’immigrazione sia regolare sia irregolare, e per creare un clima di paura e incertezza tra gli stranieri che già vivono negli Stati Uniti. Ha cancellato la possibilità di chiedere asilo al confine con il Messico; ha vietato l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da dodici paesi, soprattutto africani e mediorientali; ha sospeso il rilascio di nuovi visti per studenti internazionali; ha messo fine al programma di protezione temporanea per i cittadini di paesi a rischio; ha invocato una legge del 1798 per espellere cittadini venezuelani sospettati di appartenere a bande criminali. Molte di queste persone sono detenute in una prigione di massima sicurezza nel Salvador senza accuse formali.

 

da “Internazionale” del 17/06/2025


domenica 13 luglio 2025

LE DEVOZIONI POPOLARI NEI SECOLI

CON ALCUNE LORO STRAVAGANZE

 

Si sono inventate apparizioni mariane con una formulazione che è stata un vero abuso di minorenni o di persone fragili.

Lourdes, Fatima, Guadalupe e l’ultima Medjugorje che mi minacciò quasi trent’anni fa (se non mi convertivo al Rosario entro 14 giorni sarei morto).

Ora esaminate alla luce della scienza rivelano sia l’abuso clericale compiuto su minorenni o l’infermità mentale a seguito della ossessiva predicazione di preti vescovi e papi.

La figura di una Vergine mandata dal cielo era comunque fondata sulla figura materna.

Ma pochi giorni fa, me n’è capitata un’altra: in una scatola di vecchi libri ho trovato due titoli (uno edizioni Borla “Dopo Dio il prete è tutto”, autore don Barra collettore di tante testimonianze in quella direzione.

Ho trovato anche, a firma del sacerdote Giovanni Berto, un libretto intitolato “Il Paradiso assicurato” alla quarantesima edizione: piccolo manuale ad uso degli iscritti alla confraternita di Maria SS del Carmelo, Torino 1941, editrice internazionale della Buona Stampa. Il Paradiso Assicurato mediante l’Abitino del Carmelo è un piccolo manuale degli iscritti alla confraternita di Maria SS del Carmelo. Si tratta di un densissimo libricino di 94 pagine.

Opere come queste del devozionismo estremo circolano ancora oggi, ma in gran parte abbiamo capito che solo Dio può assicurarci una nuova vita dopo la morte.

 

don Franco Barbero,13 luglio 2025

Kennedy contro i vaccini

(Washington Post, Stati Uniti)

 

Il segretario alla salute degli Stati Uniti Robert Kennedy sostiene che la decisione del 9 giugno di smantellare una commissione di consulenza sui vaccini permetterà di eliminare i conflitti d'interesse e ripristinare la "fiducia" in questi farmaci. Il vero obiettivo è portare avanti il suo programma novax.

L'Advisory Committee on immunization practices (Acip) è un'istituzione scientifica indipendente che ha contribuito ad arginare molte malattie infettive nell'ultimo mezzo secolo. Kennedy, invece, l'accusa di aver “approvato acriticamente" i vaccini e di "non aver sconsigliato l'uso, neanche di quelli che successivamente sono stati ritirati per ragioni di sicurezza". Il concetto implicito è che i vaccini siano più pericolosi di quanto dica l'Acip e che serva un intervento più aggressivo per impedire alla popolazione di usarli.

Nessuno sostiene che i vaccini siano perfetti. Alcuni, inevitabilmente, hanno effetti collaterali che non sono stati individuati nemmeno durante i test più accurati. Le autorità sanitarie possono solo decidere in base ai dati disponibili, perché i benefici potenziali di un prolungamento dei test sarebbero minimi rispetto ai danni prodotti dal mancato accesso alle cure.

Kennedy definisce l'Acip "un sistema di schemi e incentivi legato all'industria e piegato ai dettami di un'ortodossia commerciale". Anche questo è ingiusto. Tutti i componenti della commissione sono soggetti a controlli scrupolosi.

Ora che Kennedy ha fatto piazza pulita, il rischio è che metta la commissione nelle mani dei novax. Solo una persona può impedirlo: Donald Trump.

Il rapido sviluppo dei vaccini anticovid è stato il più grande trionfo del suo primo man dato presidenziale. I repubblicani dovrebbero cercare di convincerlo che l'idea di ridurre l'accesso ai vaccini metterebbe in pericolo la popolazione e la sua eredità politica.

 

da “Internazionale” del 13 giugno 2025


RESISTENZA

 

Giovanni De Mauro

 

Quant'è cambiata, nel tempo, la parola "resistenza". Teju Cole, scrittore e saggista cresciuto in Nigeria che vive negli Stati Uniti, ricorda che fu il coraggio di chi partecipò alla resistenza contro il nazismo e il fascismo a rendere sacra la parola. "Guardiamo a queste persone con timorosa ammirazione", scrive Cole in Carta nera, appena pubblicato da Einaudi nella traduzione di Gioia Guerzoni. Molte di loro furono catturate, torturate e uccise. Chi resisteva metteva a rischio la sua vita senza neppure sapere se il suo gesto sarebbe servito a qualcosa. Oggi si parla di nuovo di resistenza, ma il contesto è diverso. "Di fronte a un regime volgare, maniacale e crudele le persone più diverse sono ansiose di proclamarsi membri della resistenza". Come possiamo recuperare il senso iniziale, il principio alla base della parola resistenza? "Propongo una resistenza che parta dal rifiuto. Rifiutare una resistenza priva di coraggio. Rifiutare l’arena convenzionale e portare la lotta altrove. Rifiutare di mangiare con il nemico, rifiutare di alimentare il nemico. Rifiutare di partecipare alla logica della crisi, rifiutare di reagire alle sue provocazioni. Rifiutare di dimenticare le offese dell'anno scorso, del mese scorso e della settimana scorsa. Rifiutare il ciclo delle notizie, rifiutare i commenti. Rifiutare di anteporre il valore della notizia alla solidarietà umana. Rifiutare di farsi intimidire dal pragmatismo. Rifiutare di essere giudicati dai cinici. Rifiutare di trovare consolazione troppo facilmente. Rifiutare di ammirare la pura e semplice sopravvivenza politica. Rifiutare il calcolo del male minore. Rifiutare la nostalgia. Rifiutare di riderci sopra. Rifiutare la visione binaria del terribile passato e dell'atroce presente. Rifiutare di ignorare la condizione di chi viene imprigionato, torturato e deportato. Rifiutare di farsi ipnotizzare dalle dimostrazioni di potere. Rifiutare il branco. Rifiutare il gioco, rifiutare il decoro, rifiutare le accuse, rifiutare la distrazione, che è solo un altro nome per tollerare il male. E quando vi viene detto che non potete rifiutare, rifiutate anche quello".

 

da “Internazionale” del 20 giugno 2025

sabato 12 luglio 2025

DON LUIGI CIOTTI

 

Fondatore del Gruppo Abele e Libera, compirà 80 anni il 10 settembre. Nato a Pieve di Cadore (Belluno), nel 1945 si trasferì a Torino con la famiglia.

“A 17 anni tentai di aiutare un barbone. Lui mi spronò a guardarmi intorno: molti miei coetanei avevamo più bisogno di lui.”

“Stiamo andando alla deriva: insieme ai barconi lasciamo naufragare i principi che hanno ispirato la nostra Costituzione.”

“Mia madre mi ha insegnato a proteggere chi è in difficoltà. Così rischio anche l'arresto.”

“La mia parrocchia è la strada. La polizia a Torino mi prese per spacciatore. Il Papa? Bene richiami alla pace “

 

da “La Stampa” del 16 giugno 2025


Giappone, il futuro che è già adesso.

A proposito di «Vanishing world», ultimo romanzo di Murata Sayaka

 

“Nel paese che si danna per il tasso di natalità sempre più basso, la scrittrice si interroga su come l'imperativo della riproduzione abbia dato forma alla nostra società”.

“Nel libro, il sentimento e la sessualità sono praticati al di fuori della casa familiare, dove invece si invocano la tranquillità dei sensi e la sicurezza economica”.

 

Giorgia Sallusti (da “Il Manifesto” del 22 giugno 2025)

 

Bombe

 

Giovanni De Mauro

 

È il 13 giugno 2025, Benjamin Netanyahu annuncia gli attacchi contro Teheran: "Negli ultimi anni l'Iran ha prodotto uranio altamente arricchito sufficiente a fabbricare nove bombe atomiche. Se non sarà fermato, potrebbe produrre un'arma nucleare in pochissimo tempo". Maggio 2018, intervistato dalla Cnn, Netanyahu spiega: "C'è un'enorme quantità di informazioni che dimostrano quanto l'Iran sia avanti nella costruzione di bombe. Ha i mezzi per costruire una bomba molto rapidamente".

Settembre 2012, rivolgendosi all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: "Entro la prossima primavera l'Iran passerà alla fase finale. Da lì ci vorranno pochi mesi, forse settimane, prima che abbia abbastanza uranio arricchito per la prima bomba".

Dicembre 2009, appena diventato primo ministro, incontra una delegazione di deputati statunitensi in visita in Israele: "L'Iran ha la capacità di fabbricare una bomba, oppure potrebbe aspettare e fabbricarne più d'una nel giro di un anno o due".

Dicembre 2006, al Glenn Beck show, programma televisivo negli Stati Uniti, dice: "L'Agenzia internazionale per l’energia atomica ha trovato tracce di plutonio e uranio per la produzione di bombe atomiche: l'Iran si sta preparando a produrre venticinque bombe atomiche all’anno ".

Febbraio 1995, intervistato da Cbs News: "L'Iran sarà in grado di produrre bombe nucleari entro tre-cinque anni". Sempre nel 1995, pubblica un libro dal titolo “Combattere il terrorismo”: "Le stime più attendibili indicano che l'Iran impiegherà dai tre ai cinque anni per avere quello che serve a produrre armi nucleari".

È il gennaio 1992, trentatré anni fa, e Netanyahu è un dirigente del partito del Likud. Parlando alla Knesset, il parlamento israeliano, dice: "Entro tre o cinque anni possiamo presumere che l'Iran diventerà autonomo nella sua capacità di produrre una bomba nucleare. Questa minaccia deve essere sventata da un fronte internazionale guidato dagli Stati Uniti".

In Medio Oriente l'unico paese ad avere armi nucleari è Israele, probabilmente dal 1966.

 

da “Internazionale” del 27/06/2025

venerdì 11 luglio 2025

Riceviamo questo articolo da Lorenzo Tommaselli.

Siamo tutti chiamati ad amare con il Cuore di Cristo

Rocco Femia

C’è un passaggio, nel discorso rivolto da Papa Leone XIV ai seminaristi per il loro Giubileo, che mi ha fatto riflettere.

Le parole erano sincere, intense, cariche di passione: «Come Cristo ha amato con cuore di uomo, voi siete chiamati ad amare con il Cuore di Cristo».
Nulla da eccepire, in apparenza.
È un invito forte, che chiede di mettersi in gioco sul serio.
Ma proprio per questo, quella frase mi ha lasciato addosso una domanda: perché rivolgerla solo ai seminaristi?

Non siamo forse tutti, se crediamo in qualcosa di più grande di noi, chiamati a imparare ad amare così?

Non è forse questa l’unica vera direzione da seguire?

Il discorso intero del Papa è stato profondo.
Ha parlato del cuore, del silenzio, dell’ascolto, del coraggio, della capacità di tenerezza.
Ha chiesto autenticità, serietà, ascolto dei più fragili.
Lo ha fatto con toni che ho apprezzato.
Ma proprio per questo mi colpisce, e non in polemica, il fatto che continui a emergere – forse senza accorgersene – una vecchia idea: che ci sia chi è “più vicino” a Cristo, più somigliante, più incaricato di amare sul serio. È una cosa che abbiamo sentito mille volte, certo.
Ma che forse, oggi, possiamo finalmente rimettere in discussione. Perché il cuore non ha caste.
E nemmeno l’amore.

Non c’è bisogno di una “configurazione speciale” per essere capaci di compassione.
Servono ascolto, fatica, umanità.
E una disponibilità che non si insegna, ma si vive.
Credo che anche per questo tante persone si siano allontanate nel tempo.
Perché si sono sentite fuori da qualcosa.
Perché hanno avvertito che certi linguaggi, certi ruoli, continuavano a fare distinzioni invece di creare legami.

Eppure, se c’è un’urgenza oggi, è proprio quella di smettere di dividere chi può amare “a nome di Cristo” e chi invece no.

Se davvero vogliamo che la fede torni a parlare alle persone, allora forse dovremmo cominciare da qui.
Siamo tutti chiamati ad amare così.
Non c’è un amore “laico” e uno “consacrato”.
C’è solo l’amore possibile, quello difficile, quello che si costruisce ogni giorno.

E il Cuore di Cristo – se vogliamo chiamarlo così – non è un privilegio per pochi.
È una possibilità per tutti.
Sta lì.
Da sempre.

Basta smettere di sentirsi esclusi.
Non si tratta di criticare il Papa, né di aprire polemiche.
È una questione più profonda, più ampia: provare insieme ad aprire spazi nuovi, dove parole e gesti aiutino a includere, non a separare.

Forse è tempo di ripensare anche il linguaggio, evitando formule che – magari senza volerlo – tracciano confini là dove invece bisognerebbe costruire ponti.

Forse è tempo di dire con semplicità che nessuno “riceve” il cuore di Cristo per investitura, ma che ogni giorno, ognuno di noi, può imparare a viverlo.

Forse è tempo che anche nei gesti, nei discorsi, nelle celebrazioni della Chiesa, si dica chiaramente: «Siamo tutti chiamati ad amare così».
Tutti.
Madri e padri.
Giovani e anziani.
Persone consacrate e semplici cercatori di senso.
Nessuno escluso.
E già che ci siamo, magari anche il nero della tonaca, il colletto bianco e i paramenti sacri a più non posso potrebbero andare in pensione.
Perché a forza di voler significare tutto, rischiano di non significare più niente.

_____________________________________________________________________________ Testo pubblicato il 26 giugno 2025 nella pagina fb dell’autore.
Il titolo è redazionale.

Per le persone transessuali

nessun paese è accogliente

 

Molte arrivano in Spagna per sfuggire alla violenza e alla discriminazione. Ma le speranze di una vita tranquilla s'infrangono contro il muro della burocrazia.

 

Sebastián Forero, “El País” (da “Internazionale” del 13/6/25)

 Il coraggio della flottiglia della Libertà

 

Chris Dovle, Arab News, Arabia Saudita

 

L'unico elemento sorprendente nella vicenda della nave Madleen e della Freedom flotilla coalition è che negli ultimi venti mesi non ci siano stati altri tentativi di forzare il blocco disumano imposto a Gaza da Israele. Le persone a bordo della Madleen hanno dato prova di grande coraggio.

Quindici anni fa i soldati israeliani salirono sulla nave turca Mavi Marmara, uccidendo dieci attivisti. Un'inchiesta delle Nazioni Unite stabilì che l'azione era stata "illegale" e che i militari avevano mostrato "un livello inaccettabile di brutalità".

Oggi le persone che erano a bordo della Madleen difendono una causa ancora più giusta, perché nel 2025 Gaza è un inferno sulla Terra. Chi critica l’iniziativa dice che voleva solo attirare l'attenzione: i personaggi famosi a bordo della Madleen, come l'attivista svedese Greta Thunberg, hanno effettivamente pubblicato diversi post sui social media.

Inoltre gli scettici sostengono che gli aiuti non avrebbero fatto niente per alleviare i problemi di Gaza. Ma è questo il punto: azioni di questo tipo sono progettate per evidenziare i fallimenti e le responsabilità delle grandi potenze.

La situazione solleva vari interrogativi. Perché solo la Madleen ha cercato di forzare il blocco? Perché sono i civili a sfidare la marina israeliana? Cosa succederebbe se la NATO nel percorrere le sue navi a Gaza? Come prevedibile, la reazione ufficiale di Israele è stata definire chi era sulla Madleen antisemita e sostenitore del terrorismo.

Dal punto di vista legale Israele non ha giustificazioni. Il blocco degli aiuti come forma di punizione collettiva nel contesto dell'occupazione è palesemente illegale. Nel gennaio 2024 la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di consentire l'accesso illimitato di aiuti umanitari, ma Tel Aviv ha ignorato la sentenza. Anche stavolta, cercherà d'imporre la sua versione dei fatti, ma diventa più difficile. L'aver deliberatamente affamato 2,3 milioni di palestinesi ha fatto perdere allo stato ebraico gran parte del sostegno globale.

Dopo aver intercettato la flottiglia il 9 giugno, Israele ha scelto una linea morbida, consegnando viveri e acqua, prima di arrestare ed espellere le persone a bordo della Madleen.

Tuttavia è difficile che l'operazione scoraggi altre missioni. La flottiglia ha dimostrato che la società civile mondiale sta crescendo in dimensioni e fiducia. È il momento di un vero cambiamento. È il momento che i leader politici ascoltino i loro elettori e mettano fine al genocidio.

 

da “Internazionale” del 13 giugno 2025