lunedì 28 luglio 2025

Le cose piccole di ogni giorno

 

L'estate ci fa registrare una diminuzione delle attività sociali, politiche e comunitarie.

Ma non mancano le occasioni per fare una lettera, una telefonata, una visita a chi è solo.

Siamo attenti nel cogliere le piccole occasioni.

Io lo faccio e consiglio ogni giorno una preghiera, uno dei modi per dare al nostro cuore il riferimento.

Cose piccole se ne possono ricordare tante.

Io pratico assai il silenzio e in quei momenti sento attivarsi in me la presenza di Dio che bussa al mio cuore mi sollecita ad ascoltare, a dare uno sguardo fiducioso al giorno che viene, a riceverlo dalle Sue mani come un giorno da vivere, da amare, da soffrire per il vuoto di certe ore.

In fondo le piccole cose ci aiutano ad amare la vita quotidiana e a parlare con Te, a portare con noi un po' di gioia da godere personalmente e mettere in relazione anche con altre persone.

Piccoli momenti di gioia che nel lungo cammino della vita condividono le nostre giornate con dolori e sofferenze che nel corso degli anni si intrecciano.

Grazie, o Dio della vita, ci dai tante gioie e ci aiuti a reggere con coraggio nei giorni, che pure sono tanti, di malattia e di inquietudini molteplici.

Grazie, o Dio della vita, perché ci sei compagno di viaggio quando la vita sorride e quando le fatiche e l'impegno quotidiano è tanto pesante.

Grazie o Dio ci sei sempre se ti cerchiamo.

 

Franco Barbero, 20 luglio 2025


 

DIO RINCHIUSO IN UNA

COSTRUZIONE DOTTRINALE

 

"Nulla caratterizza così bene la nostra vita religiosa come queste immagini di Dio di nostra propria fattura.

Penso al teologo che non aspetta Dio, perché lo possiede già, rinchiuso in una costruzione dottrinale. Penso allo studente in teologia che non aspetta Dio, perché lo possiede già, rinchiuso in un libro. Penso all'uomo di chiesa che non aspetta Dio, perché lo possiede già, inserrato in una istituzione. Penso al credente che non aspetta Dio, perché ce lo ha già, chiuso nella sua personale esperienza religiosa.

Non è facile sopportare il 'non possesso' di Dio, l'attesa di Dio. Non è facile predicare una domenica dopo l'altra senza elevare la pretesa di possedere Dio e di poterne disporre. Non è facile annunziare Dio ai bambini e ai pagani, agli scettici e agli atei, spiegando in pari tempo che noi stessi non possediamo Dio, ma che anche noi lo aspettiamo.

Sono persuaso che buona parte dell'ostilità contro il cristianesimo proviene dal fatto che i cristiani elevano palesemente, o in modo occulto, la pretesa di possedere Dio ed hanno quindi perduto l'elemento dell'aspettazione che era così importante per i profeti e per gli apostoli (...).

Noi siamo più forti quando aspettiamo che quando possediamo. Quando possediamo Dio lo riduciamo al piccolo frammento che di lui abbiamo potuto sperimentare e comprendere e così ne facciamo un idolo. Soltanto praticando l'idolatria si può credere di possedere Dio.

Ma quando sappiamo di non conoscerlo e siamo in attesa di Lui per poterlo conoscere, allora sappiamo realmente qualcosa di Lui ed egli ci ha afferrati e conosciuti e ci possiede. Allora siamo credenti pur nella nostra incredulità ed egli ci accoglie nonostante la nostra separazione da lui"' (Paul Tillich, citato in "Dialogo su Dio" di H. Zahrnt, Queriniana 1976, pag. 425).

 

NOTA

Citato in parecchi libri

don Franco Barbero

CREDEVO, SIGNORE

 

Credevo, Signore,

che tu mi avessi inviato in Sud America,

per parlare.

Laggiù, ho scoperto,

che tu sei un Dio che ascolta,

ed ho taciuto.

Eppure,

i miei fratelli e le mie sorelle

in lotta, mi hanno insegnato cosa significa

un ascolto che parla.

 

Credevo, Signore,

che tu mi avessi inviato in Africa,

per agire.

Laggiù, ho scoperto,

che tu sei un Dio che medita,

e mi sono calmato.

Eppure,

i miei fratelli e le mie sorelle

che resistono, mi hanno insegnato cosa significa

la grazia dell'azione silenziosa.

 

Credevo, Signore,

che tu mi avessi inviato in Asia,

per insegnare.

Laggiù, ho scoperto,

che sei un Dio discreto,

e non ho imposto il mio sapere.

Eppure,

i miei fratelli e le mie sorelle

che testimoniano, mi hanno insegnato cosa significa

una discrezione che convince.

 

Credevo, Signore,

che tu mi avessi inviato nei sobborghi di Parigi,

per salvare.

Laggiù, ho scoperto,

che sei un Dio crocifisso,

e mi è mancato il coraggio.

Eppure,

i miei fratelli e le mie sorelle

professanti, mi hanno insegnato cosa significhi

il dono di sé, nella morte di Dio.

 

Dio delle sorprese inesprimibili

rivelati ancora a noi

come il Signore dei capovolgimenti inattesi.

Amen!

 

Philippe B.Kebango-Mbaya (da "Mission", 1993)


domenica 27 luglio 2025

DIO CI CHIAMA A LIBERTÀ

 

O Dio, che sei Madre tenerissima

per ogni donna e per ogni uomo a cui doni la vita,

accogliamo con gioia profonda la buona notizia

del cammino di liberazione a cui hai chiamato i nostri fratelli.

 

Insegnaci, o Dio di Mosè,

la ribellione ai faraoni di oggi,

prendendo esempio da Pua e Scifra, le due levatrici ebree

intorno alle quali si è coagulata la collaborazione solidale

di una madre, di sua figlia, di una principessa egiziana con le sue ancelle.

 

Con gioia facciamo memoria anche di Rut e Noemi,

due donne coraggiose e generose,

che hanno saputo camminare con i loro piedi

e, soprattutto, con il loro cuore,

trovando il sentiero giusto per attraversare, senza danni,

il maschilismo della loro società e andando ben oltre.

 

Franco Barbero, Preghiere eucaristiche, 1989

“L’Iran non si piegherà mai. Ce lo insegna la storia”

 

ULRICH LADURNER (da “DOMANI, 11/07/2025)               

 

E fa bene!

Franco Barbero

200 MILA AL CORTEO VIETATO. A VUOTO LE PROVOCAZIONI, AUTORIZZATE DALLA DESTRA

 

Lo schiaffo del Pride a Orbán

 

Uno schiaffo a Viktor Orbán nel nome dei diritti civili e del diritto d’assemblea. È quanto è andato in scena il 28 giugno per le strade di Budapest, dove circa 200 mila persone, secondo le stime degli organizzatori, hanno sfilato per la 30° edizione del Pride celebrata nella capitale ungherese. Dopo le minacce recapitate dal governo all’indirizzo di organizzatori, sindaco di Budapest e partecipanti, non si è verificato alcun incidente o momento di tensione. Eppure, le provocazioni ci sono state. Tre le, sparute, manifestazioni organizzate dall’estrema destra. Tre eventi creati da gruppi o partiti dalla destra nazionalista e omofoba con l’unico scopo di ostacolare il corteo arcobaleno. Tre raduni di estremisti che nell’Ungheria orbaniana è stato possibile organizzare legalmente con la debita autorizzazione dalla polizia, al contrario del Pride che, invece, è dovuto ricorrere all’escamotage dell’organizzazione municipale per svolgersi in luoghi pubblici.

Nelle strade della capitale ungherese si è ballato e ci si è baciati, abbracciati, tenuti per mano. E ovviamente non poteva mancare Bella ciao, accanto a canzoni di protesta magiare. Il tutto in un profluvio di bandiere arcobaleno, europee e ungheresi spesso combinate assieme a creare vessilli multicolori, e tanti striscioni, cartelli, oltre a popolarissime maschere di Orbán truccato da Joker.

Di tanto in tanto un boato dei manifestanti salutava qualcuno che, affacciato a una finestra lungo il percorso, applaudiva i manifestanti o sventolava drappi arcobaleno. A sostenere il corteo anche le navi da crociera in transito lungo il Danubio, con i loro corni da nebbia. Pressoché assenti i simboli di partito, anche se due movimenti d’opposizione ungherese, Momentum e il Partito del cane a due code, avevano propri carri al corteo, al pari di Tilos Radio, una delle poche emittenti non filo-orbaniane superstiti.

NEL CORTEO L’UNGHERESE si è mischiato all’inglese, all’italiano, al tedesco, al francese, al ceco e al polacco con persone di tutte le generazioni. Fra di loro, la ventenne magiara Zsófia era al suo terzo Budapest Pride. Quest’anno, però, l’evento ha un significato diverso per lei: «Il fatto che sia stato proibito dal nostro governo, rende emblematico quanto sta accadendo qui in Ungheria. Ed ecco che fare parte di un corteo così numeroso, oggi, mi fa sentire più forte». La tedesca Ann, invece, stringeva una bandiera arcobaleno con su scritto «For Maja», in riferimento all’antifascista non binaria incarcerata a Budapest: «Sono qui per lei, perché Maja T. sarebbe qui con noi, oggi, se non fosse in prigione. Voglio che cresca la consapevolezza della sua situazione e che si sappia dello sciopero della fame che ora sta facendo. È stata deportata in Ungheria dalla Germania illegalmente e questo mi fa rabbia, perché sta perdendo i suoi diritti in questo Paese».

Quanto alla polizia ungherese presente ieri lungo il corteo, è stata numerosa ma discreta, confinata alle strade d’accesso al corteo. L’unico momento di contatto verbale fra il corteo arcobaleno e i suoi oppositori si è avuto in piazza Gellert, accanto ai celebri bagni termali. Qui una ventina di estremisti nerovestiti, sorvegliati da un centinaio di agenti, ha esposto lo striscione «Fermare la pedofilia Lgbt», in sintonia con la retorica orbaniana sul tema.

LE FORZE DELL’ORDINE hanno polemizzato con gli organizzatori del Pride in un comunicato diffuso a corteo in corso, sostenendo di non essere stati informati sulle variazioni di percorso. Ma i cambiamenti sono stati cambiamenti obbligati, dovuti al blocco del ponte della Libertà messo in atto dagli oppositori al Pride. Gli organizzatori, fra cui 200 volontari sul campo, sono stati così costretti a dirottare il corteo sul vicino ponte Elisabetta. È stato questo l’unico ostacolo posto dai militanti anti-Pride, eccezion fatta per un terzetto di fanatici, che ha invitato i presenti a «Pentirsi! Finché siete in tempo» imbracciando una croce. Una predica accolta da sorrisi e ironici applausi di incoraggiamento.

DA BRUXELLES sono arrivati tanti politici, compresi i capigruppo di S&D, Greens e liberali. Intravista tra la folla l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau avvolta nella kefiah. Eccetto per qualche adesivo e scritta sulla pelle, a Budapest la Palestina è uscita dai radar.

MOLTO VISIBILE per decibel e bandiere la presenza italiana, composta da un centinaio di persone in rappresentanza di tante associazioni Lgbtq+ del nostro Paese. A nome di tutti ha parlato Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay: «Siamo convintissimi che i diritti civili siano senza confini e nel momento in cui un Paese membro mette in discussione i principi fondamentali su cui è costruita l’Unione europea è dover ergersi a difesa e supporto del movimento Lgbtq+ ungherese».

A fargli eco, fra i presenti, la segretaria del Pd, Elly Schlein, secondo cui «il divieto del Pride è censura e discriminazione istituzionale. Non lo possiamo accettare e per questo abbiamo deciso di essere qui». Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra ha invece ribadito che il Pride «è una battaglia di libertà contro l’autoritarismo e siamo al fianco di chi lotta per l’uguaglianza contro ogni discriminazione». Sono venuti anche i rappresentanti del Movimento 5 Stelle e non è mancata la delegazione di +Europa. Non ha perso l’occasione neanche Carlo Calenda, a suo agio tra bandiere europee e slogan anti-Orbán in una giornata senza conflitti per il campo larghissimo.

ASSORDANTE SILENZIO, invece, dal premier Orbán, almeno nelle ore immediatamente successive al corteo del Pride. In compenso, ha postato sul proprio profilo social una foto che ritrae i suoi tre nipoti, intenti a raccogliere fiori nei prati, dichiarandosi: «Orgoglioso di loro». Di sicuro Orbán dovrà presto distogliere l’interesse dai prati e prestare attenzione alle strade di Budapest. Da come saprà ribattere a sua volta cogliendo i segnali ricevuti ieri, passeranno molte delle sue chance di restare in sella all’Ungheria.

 

Lorenzo Berardi (da “Il Manifesto” del 29/06/2025)


sabato 26 luglio 2025

Su! Quando c'è l'amore trasgredite

 

Io, tanto per rimanere nel concreto, sono andato a vivere con Fiorentina quattro anni prima di sposarmi in comunità. Se, nel caso del prete suicida e amante, si fosse agito in tranquilla disobbedienza, la libertà Evangelica avrebbe aperto un'altra strada.

Ma dopo decenni di studi teologici in Olanda, in Giappone, in Belgio con sommi maestri che erano dei veri profeti, che senso e che valore avevano i richiami e i divieti e le sanzioni vaticane per me?

Agivo sempre non per disobbedire al Papa, ma per far rispettare la mia umanità e per essere fedele alla volontà di Dio e a quella meravigliosa Fiorentina che mi amava e di cui ero innamorato uomo e prete, che faceva conoscere la moglie con gioia.

La disobbedienza ecclesiastica esige di avere alle spalle anni di studio teologico, buoni e valenti maestri ai quali chiedere un parere profetico.

Dal 1969 ogni matrimonio omosessuale (a tutt'oggi sono 276, non tutti omosessuali) che ho celebrato, non ha per me rappresentato una parvenza di disobbedienza ai canoni, ma il desiderio di accompagnare l'amore e di far gustare nei colloqui preparatori, l'amore con cui Dio ci dona la gioia di vivere.

E ciò sarà ancora a settembre con tutte le gioie di questi due meravigliosi amanti pieni di solidarietà, di fedeltà, di impegno per la pace e la giustizia.

Qualcuno mi ha scritto che nella mia vita ho fatto troppe disobbedienze. Non è vero, mi sembra piuttosto che ho fatto quelle disobbedienze che il Vangelo mi richiedeva.

Nessuno poi pensa di aver fatto tutto bene. L'importante è la ricerca di mettere il Vangelo e l'amore di ogni persona che nel ministero incontro, al primo posto.

Ogni giorno, siccome in questa dolente vecchiaia continua il dialogo con qualche persona nuova, cerco di rendere evidente che le leggi ecclesiastiche (donne, separati, omosessuali, transessuali, seconde nozze) vanno valutate con attenzione e, il più delle volte, vanno trasgredite perché sono frutto di elaborazioni superate, ostili alla felicità e ridicole, insomma chiediamo a Dio nella preghiera, di mettere al centro la ricerca della Sua volontà lungo il cammino evangelico, dalla parte dei poveri, vivendo con il necessario allo star bene, con una sobrietà felice.

E allora scopro che nella vita un po' di strada evangelica l'ho fatta, ma molto maggiore è il Vangelo che non ho vissuto appieno e che a volte non ho voluto scegliere o percorrere.

O Dio, dell'amore senza fine, spesso sono un camminatore stanco, aiutami a vivere nell'amore di Te, Dio dell'amore, perché la strada che devo compiere per essere fedele alla Tua volontà e all'insegnamento di Gesù è ancora tantissima.

Sono un piccolo uomo, spesso fuoristrada o stanco di vivere.

Grazie o Dio, tu ci ami con i nostri limiti e poi sai che presto sarò al passaggio morte e vita nuova nelle tue mani.

 

don Franco Barbero


Il valore della persona

Nel Cantico, san Francesco chiama per nome le creature del cosmo: il Sole, la Luna, le Stelle, il Fuoco, il Vento, l’Acqua, la Terra. Ciò avviene perché egli ha prima di tutto un senso profondo dell’unicità della persona.
A chi gli chiede una definizione del frate perfetto, Francesco risponde che tale sarebbe colui che fosse capace di riunire in sé «la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme all’amore della povertà; la semplicità e la purità di frate Leone; la cortesia di Angelo; l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio; la virtuosa incessante orazione di Rufino; la pazienza di Ginepro; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi; la carità di Ruggero; la santa inquietudine di Lucido» (Specchio di perfezione, 85: FF 1782).
Questa fraternità, che abbraccia il cosmo, ha al centro Cristo, l’unico a rivelarla e renderla possibile. Anzi, Gesù Cristo è paradigma del rapporto col fratello. Don Tonino lo sa e, parlando ai giovani radunati nella basilica di Assisi, facendo riferimento alla Lettera a tutto l’Ordine, domanda loro: «Ragazzi, ditemi se non vi entusiasma la visione cosmica che Francesco ha di Gesù: tutto è stato riconciliato in lui, tutto si è raccolto in lui!» (Laudate e benedicete, 20).

San Francesco e Don Tonino ci insegnano a contemplare il volto di ogni fratello e di ogni sorella, e a chiamarli per nome, ad accoglierli nel loro valore e nella loro unicità.


scritto da mons. Francesco Neri, arcivescovo di Otranto

(una fraternità fatta di nomi e volti, giugno 2025)

 


Lezioni di politica

 

Ricordo del presidente dell’Uruguay Pepe Mujica: dal carcere ai movimenti popolari, dall’idea di politica alla lotta al capitalismo.
Se ancora esistessero delle serie scuole di partito o dei percorsi di formazione politica, lo studio del Presidente dell’Uruguay, Josè Alberto Mujica Cordano, meglio noto semplicemente come Pepe Mujica che ci ha lasciati lo scorso 13 maggio, dovrebbe costituire materia curriculare obbligatoria.
Radicale, profondo, profetico, testimone autentico, determinato, anzi ostinato, Pepe Mujica ha incarnato la politica come dev’essere: coerente e attenta ai bisogni della gente, concreta e sognatrice, affascinante e capace di generare pensiero, pronta a chinarsi sul selciato e sui sentieri entro i propri confini senza tradire la mondialità di cui è parte e di cui deve farsi carico. La politica è questo.
A partire da una critica al sistema capitalistico che non prende di mira tanto il consumo compulsivo delle cose quanto quello del tempo: “Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché, quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli.
E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui che però ti tolgono il tempo per vivere...
Lo spreco è, invece, funzionale all’accumulazione capitalista che implica che si compri di continuo magari indebitandosi sino alla morte”.
Così parlava l’ex Presidente dell’Uruguay che aveva trascorso 14 anni di carcere disumano a causa delle sue idee politiche e per la sua adesione alla pratica della guerriglia urbana con i Tupamaros. La prima volta era riuscito a evadere e per questo, quando fu catturato di nuovo, lo rinchiusero in un carcere militare predisponendo per lui una zona in un sotterraneo ricavato nel braccio di un pozzo. Quando nel 1985 viene liberato perché amnistiato dopo la fine della dittatura, dirà: “Sono stato 14 anni in galera. La prima notte in cui ho dormito su un materasso ho capito che, se non sei felice con poco, non sarai felice neanche con tanto”. Parole semplici, come sempre quando apriva bocca, e per questo inquietanti, assolute, totali, vere.
A me era stata data la grazia di incontrarlo nel novembre 2016 nel corso del Terzo Incontro mondiale dei Movimenti popolari organizzati dalla Santa Sede e che quell’anno si tenne a Roma. “Non c’è cosa più meravigliosa del miracolo di essere vivi – disse nel corso del suo intervento –. La vita non è fatta solo per lavorare ma ha bisogno di tempo libero per l’esercizio della libertà”. A proposito dei movimenti sociali disse: “Spesso sono criticati, non compresi.
Però è una libera scelta intraprendere un cammino di lotta al servizio e in solidarietà con gli altri esseri umani. Fa parte del libero arbitrio orientare le forze della nostra esistenza verso qualcosa che ci motiva”. E ancora: “Tutti i passi del progresso umano sono stati una conseguenza di movimenti organizzati di gente che ha lottato per raggiungerli.
Le lotte dei movimenti popolari non sono per se stessi, ma per le generazioni che verranno”. Mujica si sorprendeva dell’attenzione che la sua persona suscitava: “Perché diventa un personaggio interessante uno come me, – diceva – che non è altro che un vecchio militante, che ha commesso molti errori e patito molte sconfitte, al di là di quello che è sempre stato l’obiettivo principale: conquistare una vita migliore per i suoi compatrioti? Perché suscita tanta attenzione il fatto che qualcuno difenda la politica come una passione superiore e pretenda che i governanti diano ai loro popoli un esempio di vita sobria e vicina a quella della maggioranza?”.
Si stupiva sinceramente: “Perché sorprende che un Presidente allerti il mondo contro la folle corsa al consumo sfrenato e contro lo spreco, la crisi di governo globale, le gravi minacce all’ambiente, la debolezza delle politiche nell’affrontare la fame e la miseria che ancora patiscono milioni di esseri umani? In realtà, credo che tutto questo susciti attenzione non tanto per il merito di chi propone questi temi, quanto per l’assenza di altre idee, di altre proposte e di altri esempi.
Già da molti anni, ormai, noi che cerchiamo ispirazione per la nostra azione sociale e politica, che vorremmo nutrirci dell’esperienza di coloro che sono già passati per i nostri drammi, non troviamo in Europa quel che sempre vi avevamo trovato in passato. Talvolta rattrista sentir parlare persone destinate ad altissime responsabilità, che rappresentano Paesi con una profonda tradizione culturale, e verificare una totale mancanza di idee, di lungimiranza, di capacità di comprendere pienamente il mondo in cui vivono, a volte dotate persino di una dubbia caratura morale”.
Questo si dovrebbe insegnare nelle scuole di politica insieme all’analisi attenta della vita di un politico puro che dopo l’avvento della democrazia tornò a fare il fioraio e, quando fu eletto, prima senatore, poi Ministro dell’Allevamento e nel 2015 Presidente della Repubblica, trattenne per sé solo il corrispettivo dello stipendio medio di un lavoratore nel suo Paese destinando il resto (90%) a progetti di edilizia popolare.
Quando decise di lasciare la politica delle istituzioni per ragioni di salute, dichiarò: “Il mio piano per il futuro è continuare a fare il possibile per aiutare la mia gente, lavorando insieme ai giovani come semplice militante, perché credo che il miglior dirigente politico sia quello che forma persone di gran lunga migliori di lui. Poiché la causa dello sviluppo umano non si esaurisce mai, ci sono sempre problemi da affrontare e tentare di risolvere con l’impegno collettivo e l’organizzazione. Il compito di ciascuno di noi è migliorare il mondo in cui siamo nati. Il compito di un dirigente politico è quello di lasciare cuori e braccia che lo sostituiscano quando se ne va”.
Che Pepe trovi orecchie attente ad ascoltarlo.

 

Tonio Dell’olio, “Mosaico di pace”, 1/6/25


venerdì 25 luglio 2025

Ucraina, inferno di fuoco. È la vendetta di Putin per le giravolte di Trump

 

Attacco violentissimo sulle città dopo il via libera del tycoon all’invio di armi.

Il NY Times: «Mosca è convinta che le difese ucraine finiranno per crollare».

 

Lucia Malatesta (da “Domani” del 10/7/25)


Caso Orlandi: 42 anni di silenzi e depistaggi.

E qualche speranza.

 

Sono passati 42 anni da quando, il 22 giugno del 1983, Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di 15 anni, scomparve senza far ritorno a casa; di lei non si è saputo mai più nulla, nonostante le indagini di diversi magistrati, l'impegno di polizia e carabinieri, la volontà dei familiari di tenere aperto il caso. In tempi recenti, tuttavia, qualcosa è tornato a muoversi. Sono ben tre infatti le indagini aperte sulla vicenda: una da parte della magistratura vaticana - e si tratta della prima indagine ufficiale condotta dalle autorità ecclesiastiche, promossa per iniziativa di papa Francesco a 40 anni dalla scomparsa di Emanuela -, una condotta parallelamente dalle autorità italiane (e della quale per ora si è saputo poco o nulla dato lo strettissimo riserbo che la circonda) e, infine, un terzo filone è quello della commissione bicamerale d'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, l'altra ragazza inghiottita dal nulla poche settimane prima di Emanuela e la cui vicenda è stata associata a quella della Orlandi in modo strumentale e all'interno di una più ampia attività di depistaggio - come dimostrato dalle inchieste della magistratura - che ha segnato un pò tutta la storia di questi 42 anni di ricerche andate a vuoto. Certo, l'attività della commissione parlamentare d'inchiesta, per quanto alcune sedute o parti di esse siano state secretate, ha offerto una quantità straordinaria di materiale, di testimonianze di protagonisti, quelli ancora vivi, dell'epoca. Investigatori, amici, insegnanti della scuola di musica, magistrati.

 

da “Adista” del 28/6/25


Il governo tira dritto sull'energia nucleare.

Ignorando leggi, sentenze e referendum

 

Sull'energia nucleare il governo sembra muoversi in maniera ideologica e arbitraria, in spregio a leggi, sentenze e volontà popolare, espressa ben due volte nei referendum del 1987 e del 2011. Queste, in sintesi, le critiche che in molti hanno mosso all'attenzione della maggioranza guidata da Giorgia Meloni e al ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, in particolare dopo l'annuncio di quest'ultimo del 16 giugno scorso: l'Italia, ha detto il ministro, ha formalmente aderito all'Alleanza Europea per il Nucleare (prima era membro del club in qualità di semplice "osservatore"), il gruppo di 13 paesi (Francia, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia e, appunto, Italia) creato su impulso francese nel febbraio 2023 per promuovere e coordinare una strategia di rilancio dell'energia nucleare in Europa. E ha dichiarato - a margine del Consiglio UE Energia a Lussemburgo - l'<<impegno>> a <<proseguire tutte le azioni che ci possono portare, anche tecnologicamente, alla produzione di energia nucleare in ambito europeo e integrare quella che è la produzione delle energie rinnovabili>> (La Stampa 16/6).

Sì rinnovabili, no nucleare!

In una dichiarazione dello stesso giorno, Vittorio Bardi e Alfiero Grandi (della presidenza nazionale dell'associazione "Sì alle energie rinnovabili, no al nucleare") hanno fermamente criticato l'iniziativa del ministro dell'ambiente. Nello specifico, i due hanno cointestato una posizione politica che colpevolmente ritarda sulla transizione green, in ossequio ai desiderata delle lobby nucleariste del Paese, contro i due referendum popolari, in barba alle leggi attualmente in vigore, in violazione degli ambiti di competenza Stato-Regioni, contro i pronunciamenti della Corte Costituzionale.

Secondo l'associazione, si legge nella nota del 16 giugno, l'adesione dell'Italia all'Alleanza nucleare europea è un fatto molto grave, perché avvia una procedura di partnership <<con conseguente scambio di informazioni, di impegno comune nella ricerca, nella sperimentazione e nella produzione di reattori nucleari>>, scavalcando di fatto il Parlamento, il quale ancora non è stato chiamato a discutere il progetto di legge governativo che il Consiglio dei Ministri ha approvato oltre 3 mesi fa.

Inoltre, aggiungono Vittorio Bardi e Alfiero Grandi, <<il governo non contesta alla Lombardia i protocolli firmati con l'Agenzia Internazionale sul Nucleare sul quale la Regione non ha poteri, che spettano al governo. In sostanza è una forma di autonomia regionale differenziata camuffata che si fa beffe delle sentenze della Corte Costituzionale sulla legge Calderoli>>.

 

da “Adista” del 28/6/2025

giovedì 24 luglio 2025

 Record di laureati per il Seminario battista ucraino


All'inizio dell'attacco russo all'Ucraina, nel febbraio 2022, il Seminario teologico battista ucraino (Ubts) a Lviv (Leopoli) trasformò le sue aule in rifugi temporanei, interrompendo le lezioni per ospitare gli sfollati interni che, in fuga dalle loro case, erano alla ricerca di sicurezza. Migliaia di rifugiati hanno trovato letti, cibo, vestiti, kit di pronto soccorso, conforto e preghiera tra le mura del seminario, grazie alla collaborazione con l'International Mission Board, con le congregazioni battiste del Sud negli Stati Uniti, con chiese e gruppi battisti in Europa, e con il continuo supporto della Ukrainian Baptist Foundation (Ubf).
Con la guerra al suo quarto anno, l'Ubts ha da tempo ripreso la sua attività educativa, laureando a giugno circa 700 studenti, il numero più alto nei suoi 25 anni di storia.
<<Far parte di questa comunità ci dà la forza e la certezza di poter assistere alla trasformazione della nostra nazione, dove le persone amano Dio e rispettano la legge>>, ha dichiarato il presidente Yaroslav Pyzh in un video, sottolineando il lavoro che i laureati stanno già svolgendo per cambiare vite in Ucraina. Con l'inizio dell'anno scolastico 2024-2025, il terzo anno di guerra, l'Ubts - che collabora con il Southeastern Baptist Theological Seminary - ha continuato il suo lavoro educativo con 1.500 studenti iscritti, e lavoro umanitario che è stato trasferito a una rete di 17 centri We Care Center, di cui è anche presidente.

<<Nonostante la guerra, continuiamo a fare ciò a cui Dio ci ha chiamato. Il nostro paese ha bisogno di molti leader nella fase di ricostruzione che sta per iniziare>>, ha proseguito Pyzh. << E tutti questi giovani, sono nuovi leader per il nostro Paese e per le nostre chiese. Quindi vi chiedo di pregare per noi>>.

Da maggio 2023 a marzo 2025, i We Care Centers - che operano con l'aiuto di centinaia di partner, tra cui International Mission Board e Send Relief - hanno assistito 426.635 ucraini in 17 sedi in tutta l'Ucraina, secondo un rapporto pubblicato su upf.org, utilizzando i centri anche come campi di formazione per gli studenti dell'Ubts.

 

da “Riforma” del 11/7/25