giovedì 19 giugno 2025

 

UN APPELLO PER GAZA
Manifestazione nazionale 21 giugno a Roma

FERMARE ISRAELE.
MOBILITAZIONE PERMANENTE OVUNQUE PER GAZA E PER LA PALESTINA.
APPELLO A TUTTE LE INIZIATIVE, LE CAMPAGNE, LE RETI PER LA PALESTINA A CONVERGERE A ROMA IL 21 GIUGNO:
“NO GUERRA, RIARMO, GENOCIDIO, AUTORITARISMO”

Israele ha lanciato l’offensiva finale su Gaza. Obiettivo: l’invasione, l’eliminazione e la deportazione del popolo palestinese. A Gaza assediata si continua a morire di fame, di bombe, di stenti, di malattia. E’ un piano criminale, realizzato con azioni criminali, compiuto con la complicità e il sostegno di una gran parte della comunità internazionale, UE e Governo Italiano inclusi.
In ogni angolo del mondo, in Europa e in Italia si moltiplicano le mobilitazioni. A ciascuno di fare qualcosa, non c’è tempo da perdere. Ovunque, dovunque, in ogni modo.
Il coordinamento che promuove la manifestazione nazionale del 21 giugno Stop Rearm Europe “No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo” sostiene tutte le campagne e le mobilitazioni per Gaza, per la Palestina, per fermare Israele che si stanno realizzando in queste ore.
Invitiamo a:
- sostenere le iniziative del secondo convoglio per Rafah, appena tornato, che chiama Governo e Parlamento alle sue responsabilità.
- partecipare alla campagna “L’ultimo giorno di Gaza” che invita a stendere il 24 maggio lenzuoli-sudari nelle strade, ai balconi, in ogni luogo.
- aderire allo sciopero della fame per Gaza, e alle altre forme di sciopero organizzate in diverse città e regioni
- appendere ovunque le bandiere della Palestina: ai balconi, al giro d’Italia, sui palazzi comunali.
- scendere in piazza, con le manifestazioni, i banchetti, le raccolte fondi e il 5x1000 per Gaza.
- sostenere la marcia da Marzabotto a Montesole il 15 giugno.
- appoggiare le iniziative che chiedono sanzioni, la sospensione dell’accordo UE-Israele, la revoca del Memorandum d’Intesa militare fra Italia e Israele
- partecipare con le bandiere della Palestina e della pace alla manifestazione contro il dl sicurezza il 31 maggio a Roma
- contribuire alle iniziative per il voto ai referendum per i diritti del lavoro e la cittadinanza l’8 e il 9 giugno, perché la guerra uccide i diritti.
E invitiamo tutte queste iniziative, campagne, reti, vertenze, bandiere e simboli a convergere a Roma nella manifestazione nazionale del 21 giugno Stop Rearm Europe “No guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo”
Durante la settimana di mobilitazione europea, alla vigilia del vertice della Nato che deciderà sul piano di riarmo europeo, mentre le armi europee continuano a uccidere a Gaza e in Palestina, alziamo insieme la voce contro la complicità del governo italiano e dell’Unione Europea.
Fermiamo Israele.
Mettiamo insieme le forze.
Per liberare Gaza e la Palestina. Per disarmare l’Europa e il mondo. Per fermare la guerra e il sistema di guerra. Per mettere la guerra fuori dalla storia.
Il 21 giugno, insieme da tutta Italia, a Roma.

#stoprearmeurope

 

Monarchici e mujahedin,

chi spera di farsi regime in Iran

di Francesca Luci


Mentre le difese aeree iraniane venivano progressivamente neutralizzate, raid aerei coordinati e missili lanciati da sottomarini colpivano obiettivi strategici a Natanz, Tabriz, Kermanshah, Shiraz e in numerose altre città. Contemporaneamente, a Teheran, operazioni mirate hanno portato all’eliminazione di comandanti militari e scienziati nucleari di primo piano, tutti uccisi all’interno delle proprie abitazioni. È evidente che Teheran ha interpretato i segnali di un attacco imminente come semplice guerra psicologica legata al percorso negoziale.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato il popolo iraniano a insorgere contro la sua leadership. L’appello, simile a quelli del passato, non avrà un particolare effetto all’interno del paese. Tuttavia, ancora una volta, l’offensiva mette in luce la profonda vulnerabilità del sistema di sicurezza della Repubblica islamica. La precisione delle informazioni a disposizione dell’intelligence israeliana è sempre stata una spina nel fianco della Repubblica islamica, una ferita mai rimarginata.

TEHERAN ha fatto il possibile e anche l’impossibile, ricorrendo a mezzi leciti e illeciti, fino a instaurare uno stato di terrore persino tra i semplici critici del regime. Eppure, non è mai riuscita a impedire la profonda penetrazione dei servizi israeliani e dei loro sicari all’interno dell’apparato statale.

Secondo alcuni storici, la rete dell’intelligence israeliana operativa in Iran durante la monarchia, indipendente da quella della Cia, non sarebbe mai stata completamente smantellata dopo la rivoluzione del 1979. La chiave del successo israeliano risiede probabilmente nel fatto che una molteplicità di servizi d’intelligence – statunitensi, pakistani, sauditi e dei paesi del Golfo – sostiene, direttamente o indirettamente, diverse organizzazioni dell’opposizione iraniana all’estero, così come gruppi separatisti attivi all’interno.

Ogni organizzazione conta sul supporto di una rete di simpatizzanti presenti sul territorio, che fungono da snodi informativi e logistici. Il resto delle informazioni viene ottenuto sfruttando defezioni, fughe dalla repressione e un diffuso sistema di corruzione.

Nel recente attacco, si ritiene che agenti israeliani siano riusciti a introdurre missili e droni esplosivi in Iran attraverso una serie di operazioni segrete, culminate nell’offensiva mortale di venerdì. Per portare a termine operazioni di questa portata, è impensabile che non ci sia stata una vasta copertura e complicità a livello locale.

La portata e la precisione dell’operazione suggeriscono che l’offensiva israeliana sia mirata non solo a colpire obiettivi militari, ma a smantellare il regime iraniano, come parte del piano di sottomissione degli avversari regionali e dell’imposizione della propria visione geopolitica sull’intero Medio Oriente.

Un potere amico ai vertici di Teheran gioverebbe sicuramente ai piani di stabilità e di egemonia regionale a cui mira Tel Aviv. Tuttavia, è difficile individuare, nel panorama delle opposizioni favorevoli a Israele, gruppi con un’influenza tale da poter ricoprire il ruolo di successori della Repubblica Islamica.

I monarchici costituiscono il gruppo più conosciuto in Iran, grazie ai ricordi nostalgici della vecchia generazione che tende a idealizzare i tempi passati come i migliori, dimenticando l’oppressione politica ed economica vigente durante la monarchia. Un movimento molto frammentato, senza una struttura rigida, guidato da Reza Pahlavi, ultimo principe ereditario che sempre ha espresso un forte sostegno a Israele.

QUESTO LEGAME si è rafforzato ulteriormente ad aprile 2023, quando Pahlavi e sua moglie hanno effettuato una visita ufficiale in Israele, accolti calorosamente da Netanyahu. Durante il soggiorno, la coppia ha visitato diverse località e Pahlavi ha pregato al Muro del Pianto, scegliendo di evitare la moschea di Al-Aqsa. Una figura che, nell’Iran attuale, difficilmente potrebbe andare oltre il ruolo che Ahmed Chalabi ha avuto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein.

I Mujahedin del Popolo Iraniano/Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana rappresentano con ogni probabilità il gruppo di opposizione più organizzato e temuto dalla Repubblica islamica, sebbene studi e sondaggi indichino che godano di un sostegno minimo all’interno del paese: origini marxiste-islamiche e un passato controverso, segnato dall’alleanza con Saddam durante la guerra Iran-Iraq, fatto che agli occhi di molti iraniani equivale a un tradimento. Dopo l’invasione americana in Iraq, i membri sono stati trasferiti prima a Camp Liberty e poi in Albania.

Sostenuti da Stati uniti e Arabia saudita, sono stati accusati di attività opache, comportamenti di stampo settario e attività di terrorismo, oltre che di un’aggressiva attività di lobbying in ambienti politici statunitensi ed europei. L’organizzazione non sembra disporre né della forza né del sostegno popolare necessari per rappresentare un punto di riferimento unificante all’interno del paese.

I partiti di opposizione delle minoranze etniche, come i curdi o i beluci, pur avendo una certa influenza a livello locale, sono percepiti come organizzazioni separatiste che il nazionalismo iraniano non riesce a tollerare. È difficile prevedere un’insurrezione popolare in questa fase: nonostante il malcontento diffuso tra la popolazione, è molto probabile che il sentimento nazionalista finisca per prevalere a tutela dell’integrità nazionale.

 

da “Il Manifesto” del 16/6/25

 

In Medio oriente un nucleare «civile» diventato bomba c’è già: quello di Tel Aviv


di Piergiorgio Pescali


Il programma nucleare israeliano rappresenta uno dei capitoli più controversi della storia del Medio Oriente moderno. Caratterizzato da una politica di “ambiguità strategica” che perdura da decenni, il progetto ha radici nella percezione di vulnerabilità esistenziale che ha accompagnato la nascita di Israele negli anni ’50 sotto la guida di David Ben-Gurion, che considerava le armi nucleari essenziali per la sopravvivenza del paese.

Nel 1957 Israele siglò un accordo segreto con la Francia per la costruzione di un reattore nucleare nel deserto del Negev, presso Dimona. Ufficialmente, il progetto era presentato come iniziativa civile per produzione energetica e ricerca scientifica e venne costruito tra il 1958 e il 1963. Tuttavia, la struttura presentava caratteristiche che andavano oltre le necessità civili: un reattore moderato ad acqua pesante da 26 megawatt e impianti di riprocessamento del plutonio suggerivano chiaramente finalità militari.

Quando gli Stati Uniti scoprirono l’impianto attraverso fotografie aeree nel 1960, il presidente Kennedy convinse Israele a consentire visite tra il 1961 e il 1969, ma queste ispezioni furono inadeguate poiché gli israeliani nascosero le attività più sensibili.

Il velo di segretezza venne squarciato nel 1986 grazie a Mordechai Vanunu, tecnico nucleare che aveva lavorato a Dimona per quasi un decennio. Motivato da convinzioni pacifiste, decise di rendere pubblici i segreti di cui era venuto a conoscenza. Nel settembre 1986, il Sunday Times pubblicò un’inchiesta basata sulle informazioni di Vanunu, corredata da fotografie scattate clandestinamente. Le rivelazioni mostravano che Israele, oltre a possedere un arsenale molto più sofisticato del previsto, aveva prodotto plutonio sufficiente per 100-200 testate nucleari. Le conseguenze per Vanunu furono severe. Attirato con l’inganno a Roma da una spia del Mossad, venne rapito e trasportato segretamente in Israele. Processato a porte chiuse, fu condannato a 18 anni di prigione, 11 in isolamento e anche dopo il rilascio nel 2004, rimane soggetto a severe restrizioni.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

L’Europa allineata a Israele, ma i vicini dell’Iran temono l’escalation regionale
La risposta israeliana consolidò l’ambiguità strategica, basata sulla formula: “Israele non sarà il primo paese a introdurre armi nucleari in Medio Oriente”. Questa formulazione permette di beneficiare della deterrenza nucleare senza confermare ufficialmente il possesso di tali armi. L’ambiguità serve a molteplici scopi: mantiene flessibilità diplomatica, evita di provocare una corsa agli armamenti esplicita nella regione, riduce le pressioni internazionali per il disarmo.

Una questione controversa riguarda il ruolo dell’Aiea nel monitoraggio del programma israeliano. Israele non ha mai sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione Nucleare e non è soggetto alle ispezioni sistematiche dell’agenzia che, quindi, non ha mai condotto ispezioni complete presso Dimona o altri siti israeliani, creando un precedente problematico nel sistema di non proliferazione. L’Assemblea Generale dell’Aiea ha approvato diverse risoluzioni invitando Israele a sottoporre i suoi impianti alle ispezioni, ma le richieste sono rimaste inascoltate.

La questione continua a essere fonte di tensioni nelle conferenze internazionali riflettendo i limiti istituzionali dell’agenzia che non può obbligare stati non firmatari del Tnp ad accettare ispezioni, rispettando sovranità nazionale e principio del consenso. Tuttavia, l’agenzia ha espresso preoccupazione per le implicazioni regionali del programma non sottoposto a controlli.
Rafael Mariano Grossi ha sottolineato che l’applicazione universale delle salvaguardie rappresenta un obiettivo fondamentale, invitando tutti gli stati mediorientali ad aderire al Tnp. L’agenzia si trova però in posizione delicata, dovendo bilanciare legalità internazionale con pressioni politiche.

Oggi il programma nucleare israeliano rimane avvolto nella segretezza, ma la sua esistenza è universalmente riconosciuta. Le stime suggeriscono che Israele possieda tra le 80 e le 400 testate nucleari, rendendolo la sesta potenza nucleare mondiale. La questione continua a influenzare le dinamiche geopolitiche mediorientali, alimentando ambizioni nucleari di altri Paesi e complicando gli sforzi diplomatici per il controllo degli armamenti. La vicenda di Vanunu ricorda come anche nei programmi più riservati, la verità possa emergere attraverso il coraggio di individui disposti a sacrificare tutto per i propri principi.

 

da “Il Manifesto” del 16/6/25

mercoledì 18 giugno 2025

 

7 giugno 2025

 

Sarà l'ultimo Pride per me?

 

Che dono il Dio dell'Amore mi ha ancora concesso: ho partecipato a Torino al Pride della settimana scorsa. Nel mio conteggio non ho il numero preciso delle partecipazioni: o 19 o 21.

Certo questo di sabato pomeriggio 7 giugno è stato partecipatissimo, dalle 16:30 alle 23:30.

Temevo che le mie gambe non ce la facessero più. Invece ho potuto partecipare per quasi cinque ore e le gambe hanno retto anche per l'aiuto di Emanuele, Simone e tanti/e altri/e. Poi sono tornato a Pinerolo.

Mai a Torino avevo visto tanta gioventù come a questo Pride: un clima sereno, gioioso, molto relazionale, tranquillo, molto dialogante, molto interessato a pormi domande. Almeno 200 persone, giovani donne in prevalenza e non pochi stranieri. Tra quelli che non conoscevo ho potuto parlare con molte persone.

Che gioia per il mio cuore, tante domande sapendo che ero presente come prete e teologo mi vennero presentate e la serata fu ricca di dialogo sulla chiesa e sulla fede in Dio. Non è spento il desiderio di Dio. Certo occorreva rispettare il ritmo della carovana, ma cercavamo di parlare tra soste e riprese del viaggio.

Dio è l'Amore che i nostri canti, i nostri abbracci e i nostri amori esprimono. Ho parlato assai della visione di Dio come Amore e sostegno dei nostri amori. Ho trovato molti giovani interessati, soprattutto molte giovani donne e anche persone oltre i 60-70 anni, come se stessero per scoprire un Dio diverso da quello della parrocchia...

Ho riservato un po' di tempo al papa: ho parlato di questa disgrazia per la chiesa e il mondo trovando molto consenso.

Grazie, o Dio, dell'Amore, ancora una volta ho constatato che la strada è uno dei luoghi in cui Dio ci viene incontro e ci parla. Forse è la strada che, per tuo dono, o Dio, mi ha fatto incontrare persone ricche d'amore e di solidarietà.

Partecipare al Pride per me ha sostituito la messa della domenica mattina e ho organizzato un'ora di preghiera il pomeriggio.

Grazie, o Dio dell'Amore che cresce in molti modi, ma l'Amore viene sempre da Te, che sei Amore Infinito. Intanto abbiamo già concordato che il 15 settembre due persone omosessuali celebreranno il loro matrimonio pieni di fede e di impegno solidale.

Grazie, o Dio, a un vecchio e rottamato come me concedi ancora meravigliosi doni d'amore e relazioni che Ti cercano.

Grazie, grazie Amore o Dio,

don Franco Barbero

 

La festa del Corpus Domini: Liegi 1246

 

Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dave vuoi che undiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo can una brocca d'acqua; segiuitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi».

I discepoli andarona e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. (Marco 14, 12-16).

Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro è ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio»... E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi (Marco 14, 22-26)".

 

La chiesa cattolica inventò la festa del Corpus Domini (“Corpo del Signore”’) nel tredicesimo secolo. Essa fu celebrata la prima volta nella diocesi di Liegi nel 1246. Papa Urbano IV, già autorevole esponente del clero di Liegi, nel 1264 la estese a tutta la chiesa e ne stabilì la celebrazione il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste. Da pochi anni la festa viene celebrata la domenica successiva.

E’ interessante notare che il papa, nel decreto di erezione di tale festa, scrisse che essa veniva istituita “per confondere la infedeltà e l’insania degli eretici”. Ma quasi nessuno diede retta a papa Urbano e nel 1314 dovette intervenire di autorità papa Clemente V per-fare applicare tale decreto. Qualche decennio dopo nacque la “solenne processione” del Corpus Domini. Su questa festa, nata in aperta polemica con chiunque manifestasse un pensiero diverso dalla gerarchia romana (basta poco a volte per esscere definiti e squalificati come eretici!), non si è mai spenta la disputa nelle chiese cristiane e anche all’interno della stessa chiesa cattolica.

E' comprensibile che anche questo passaggio dal “mangiare il pane” all’adorazione dell’Ostia santa (come si diceva) abbia suscitato nelle chiese e tra i teologi molte perplessità e molte opposizioni. La Scrittura, infatti, non dice mai di adorare il pane eucaristico, ma di mangiarlo. Così pure come si potevano costringere i cattolici a credere in una presenza “reale” di Gesù, fisica e oggettiva, mentre per secoli era stata diffusissima l’interpretazione simbolica di “questo è il mio corpo" e “questo il mio sangue”? Le decisioni gerarchiche già allora non parvero convincenti e nei secoli le parole bibliche sono sempre più apparse suscettibili di altre interpretazioni. Oggi la teologia eucaristica, cioè il modo di comprendere la cena del Signore o eucarestia, è molto variegata anche dentro la chiesa cattolica. Questa molteplicità è certamente un grande bene perché rispecchia le milteplici interpretazioni che della cena eucaristica sono avvenute nelle comunità cristiane, nelle ricerche bibliche e teologiche di questi venti secoli.

Questa libertà di scegliere tra diverse interpretazioni s’aggiunge ad un altro fatto molto positivo. Infatti la molteplicità delle interpretazioni teologiche coesiste felicemente con alcuni elementi che convergono in unità, anzi consolidano la nostra unità di fede.

Accenno brevemente alle diversità e poi cerco di valorizzare, per accenni, i forti elementi di unità presenti anche nella chiesa cattolica.

 

Diverse interpretazioni

Molti cattolici, più vicini alle posizioni che la ge andò precisando e fissando con ripetuti documen sano che “nel Santissimo Sacramento dell’Euca contenuto veramente, realmente, sostanzialm Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo con l'anima e la divinità e. quindi il Cristo tutto intero”.

In tale presenza “reale” Cristo tutto intero si fa presente. “Cristo è tutto è integro presente in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide {dal Catechismo della Chiesa Cattolica). “Med consacrazione si opera la fransustanziazione del del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo” (ivi pag. 366). Questo ci veniva insegnato un tempo nel c smo.

Oggi, accanto a questa, c'è una interpretazione diversa. Molti altri, cattolici e non, leggono in questo invito di Gesù a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue, la possibilità che ci è offerta di entrare in profonda comunione di pensieri e di vita con Gesù, di esperimentare la sua presenza nel nostro cammino, di ispirarci a lui nelle nostre scelte. Questo mangiare il corpo e bere il sangue non indicano carne e sangue da macelleria, ma il dono e l'impegno di legare la nostra vita a quella di Gesù.

Quel pezzo di pane rimane pane; così pure il vino. In questa prospettiva teologica è centrale vedere che significato ha, nel disegno di Dio, quel pane condiviso, quel pane mangiato dopo aver benedetto Dio che ce l’ha donato, quel pane che Gesù nella sua quotidianità spezzava con vicini e lontani, con i perduti e i peccatori, con pagani e prostitute. Se non si legge in questo spezzare il pane al cospetto di Dio qualcosa che imprime una nuova direzione alla nostra vita quotidiana, allora il rischio è di trastullarci in cerimonie evasive.

Dio, attraverso l’opera e il messaggio di Gesù, forse non ha interesse a cambiare “la sostanza” del pane e del vino. Quello che deve cambiare è la “sostanza ” della nostra vita. In questa prospettiva non esiste nessuna parola magica, potente o sacerdotale che trasformi un pezzo di pane, ma ci si affida, come Gesù, all’amore e alla Parola di Dio che può lentamente cambiare le nostre vite.